Espropriazione per pubblica utilità: le ultime pronunce giurisprudenziali

ESPROPRIAZIONE DI UN BENE AVENTE VALORE STORICO-AMBIENTALE

Cassazione civile, sez. I, 17/03/2023, n. 7846

In tema espropriazione di un bene avente rilevante valore storico e ambientale (nella specie un antico castello in rovina, circondato da una vasta area caratterizzata da secolari essenze arboree), sottoposto a vincolo in quanto di interesse particolarmente importante, l’indennizzo non deve essere determinato sulla base del criterio del valore agricolo medio dell’area, applicabile per i suoli inedificabili, ma deve tener conto delle potenzialità extra -agricole del bene, considerando lo sfruttamento economico dello stesso attraverso la valorizzazione della sua natura di bene avente una rilevante connotazione storica e ambientale, e quindi, una specifica vocazione turistica. Peraltro, l’area di sedime non può essere distinta dalla costruzione, dovendo l’indennità essere determinata in modo unitario, ad eccezione dei casi in cui il fabbricato sia privo di autonomia funzionale o abbia scarsa consistenza economica.

La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione torna a portare l’attenzione sulla necessità di determinare il valore del bene espropriato, anche non avente natura edificabile, in relazione al valore di mercato dello stesso, considerate le possibili utilizzazioni extra-agricole. La sentenza però ci pare particolarmente interessante in quanto evidenzia come la determinazione del valore del bene debba tenere conto anche delle possibilità di sfruttamento economico del medesimo in relazione alla sua specifica vocazione turistica. Sul punto è bene chiarire che la valutazione non potrà comunque considerare, stante la giurisprudenza al momento dominante, valori di tipo strettamente commerciale (perdita di lucro) ma dovrà comunque concentrarsi sul valore immobiliare del bene stesso. La Corte ribadisce anche come l’area di sedime appartenga al bene e quindi non possa essere considerata separatamente dallo stesso, salvo che l’immobile sia privo di valore economico consistendo di fatto in un rudere non utilizzabile.

GLI EFFETTI DEL VERBALE DI IMMISSIONE IN POSSESSO: possibile la prova del maggior danno?

Cassazione civile, sez. VI, 02/02/2023, n. 3256

In tema di occupazione temporanea e d’urgenza di un terreno per la realizzazione di un’opera pubblica, la formale redazione del verbale di immissione in possesso conseguente al decreto di occupazione, a norma dell’ articolo 20 della legge n. 865 del 1971, fa presumere l’effettivo impossessamento dell’immobile da parte della Pubblica amministrazione beneficiaria dell’occupazione e, quanto al proprietario, la perdita delle facoltà di godimento e di disposizione del bene; la presunzione, che ha natura relativa, fa salva la prova contraria, cui è ammessa la Pubblica amministrazione, della mancata effettiva presa di possesso dell’immobile, nonché la prova, da parte del proprietario del bene occupato, di aver subìto nel periodo precedente l’immissione in possesso, per effetto della sola adozione del decreto di occupazione d’urgenza, cui consegue l’indisponibilità giuridica del bene, un pregiudizio risarcibile, se effettivo, come quello ad esempio derivante dall’impossibilità di vendere il bene in presenza di concrete possibilità.

La presente sentenza della Corte di Cassazione torna a ribadire che la redazione del verbale di immissione in possesso fa presumere l’effettivo impossessamento da parte della Pubblica Amministrazione del bene. Ciò su cui però appare interessante riflettere sono alcuni corollari che la Suprema Corte fa discendere da tale principio.

In primo luogo, la Corte evidenzia la possibilità della pubblica Amministrazione di dare prova del fatto contrario, ovverosia che a seguito della redazione del verbale di immissione in possesso non sia effettivamente derivata l’effettiva presa di possesso da parte della stessa. Si porranno però in questi casi delicate problematiche in ordine alla differenza tra due fattispecie piuttosto simili. In vari casi, infatti la pubblica amministrazione a seguito del verbale di immissione lascia tuttavia la detenzione del bene al proprietario per un certo lasso di tempo. Occorrerà quindi distinguere tra situazioni in cui vi sia stata presa di possesso ma sia stata lasciata la detenzione del bene e situazioni in cui invece la redazione di un verbale di immissione in possesso sia stata meramente formale e non abbia determinato l’assunzione del possesso in capo alla P.a.

Questo può essere rilevante sotto molteplici aspetti. In primo luogo, per la determinazione delle indennità di occupazione spettanti ai proprietari e nella individuazione quindi della esatta data di inizio del computo. Tuttavia, la distinzione sopra esaminata risulta importante anche per valutare l’efficacia dei decreti di occupazione di urgenza e del decreto di esproprio che divengono definitivamente inefficaci se non eseguiti rispettivamente entro i 3 mesi o i 2 anni dalla loro emanazione come sancito dagli artt. 22 bis e 24 dpr 327/2001.

La sentenza però è interessante per la possibilità che apre al proprietario di vedersi indennizzati anche i pregiudizi subiti prima della esecuzione dell’immissione in possesso a seguito della sola emanazione del decreto di occupazione di urgenza. La giurisprudenza, infatti, in questi casi afferma la possibilità di indennizzare “un pregiudizio risarcibile, se effettivo, come quello ad esempio derivante dall’impossibilità di vendere il bene in presenza di concrete possibilità”. Il principio risulta in sé piuttosto innovativo dal momento che l’art. 50 dpr 327/2001 nel determinare l’importo dell’indennità di occupazione non fa menzione della possibilità di dimostrare l’esistenza di un maggior “danno” cosa che invece, alla luce della sentenza ivi esaminata, sembrerebbe possibile.

L’ESECUZIONE DEL DECRETO DI ESPROPRIAZIONE

Cassazione civile, sez. un., 12/01/2023, n. 651

In tema di espropriazione per pubblica utilità, in base alla disciplina introdotta dal d.P.R. n. 327 del 2001 , l’esecuzione del decreto di esproprio – con la immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio entro il termine perentorio di due anni, mediante la formale redazione di un verbale – assurge a condizione sospensiva di efficacia del decreto stesso (artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, d.lgs. C.I.T..), con la conseguenza che, in mancanza, detto decreto diventa definitivamente inefficace e non si realizza l’effetto estintivo della proprietà e degli altri diritti gravanti sul bene (salvo il potere dell’autorità espropriante di emanare una nuova dichiarazione di pubblica utilità entro i successivi tre anni, cui dovrà seguire un nuovo decreto di esproprio). Ove, invece, il decreto di esproprio sia tempestivamente eseguito, il beneficiario dell’espropriazione acquista la proprietà e il possesso del bene e l’espropriato o il terzo che continuino ad occuparlo o a utilizzarlo si trovano in una situazione di fatto che non è configurabile come possesso ad usucapionem (art. 24, comma 4, d.lgs. C.I.T..).

Il decreto di esproprio va eseguito, ex art. 24 dpr 327/2001, entro 2 anni dalla sua emanazione mediante redazione di un verbale di immissione nel possesso del bene. La presa di possesso del bene costituisce condizione sospensiva per l’efficacia del decreto di esproprio e pertanto, pur se regolarmente trascritto, il decreto di esproprio non avrà effetto in carenza di una formale presa di possesso da parte della pubblica amministrazione. Qualora la presa di possesso non sia stata effettuata entro i due anni, quindi, il decreto di esproprio diverrà definitivamente inefficace e pertanto incapace di produrre i suoi effetti. Qualora lo stesso sia stato regolarmente trascritto, il proprietario potrà quindi chiedere l’accertamento dell’inefficacia del decreto espropriativo e la cancellazione della relativa trascrizione, riacquistando la proprietà anche formale del bene.

VINCOLI CONFORMATIVI E VINCOLI ESPROPRIATIVI

Consiglio di Stato sez. IV, 30/12/2022, n.11707

I vincoli conformativi si differenziano dai vincoli espropriativi o sostanzialmente espropriativi atteso che i primi sono quelli che dividono in tutto o in parte il territorio comunale in zone assoggettate a una disciplina dello ius aedificandi omogenea (c.d. zonizzazione) e che dunque si connotano per il fatto di incidere su una generalità di beni, potenzialmente appartenenti a una pluralità indifferenziata di soggetti, beni che vengono accumunati in ragione delle caratteristiche intrinseche degli stessi e del contesto nel quale si inseriscono; mentre i secondi sono quelli che riservano alla mano pubblica l’edificazione in una specifica area (c.d. localizzazione) o che svuotano sostanzialmente di contenuto il diritto di proprietà su di un determinato bene; in altre parole, mentre con il vincolo conformativo si provvede a una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, così da incidere su di una generalità di beni e nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, con il vincolo espropriativo si incide in modo particolare su beni determinati in funzione della localizzazione di un’opera pubblica.

Il Consiglio di Stato torna nuovamente sull’eterna querelle inerente alla differenza tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi. La corretta identificazione del genere di vincoli imposto sulla proprietà si rivela basilare in relazione agli effetti totalmente differenti dei due vincoli. Come ben noto, infatti i vincoli conformativi sono a durata indeterminata ma non danno titolo all’ente di procedere ad un esproprio, mentre i vincoli espropriativi consentono l’avvio di un procedimento espropriativo ma hanno durata di 5 anni e decorsi i 5 anni decadono; se la P.a. ne vuole effettuare la rinnovazione è però tenuta al pagamento di un indennizzo al proprietario.

In tale contesto il Consiglio di Stato fornisce un criterio per la differenziazione dei due vincoli in ordine alla ampiezza di riferimento del vincolo; afferma infatti la Corte amministrativa che devono considerarsi vincoli conformativi quelli che si riferiscono a una pianificazione di zona dell’area incidendo su una pluralità di soggetti e una pluralità indifferenziata di beni, mentre vanno considerati vincoli espropriativi quelli capaci di incidere su beni determinati in relazione dell’individuazione dell’opera pubblica.

Il criterio offerto pare però non scevro da dubbi. Si immagini la pianificazione di una strada, magari statale effettuata all’interno di una pianificazione urbanistica. A quale delle due tipologie può essere assunta. Da un lato, infatti sussiste una chiara individuazione della localizzazione di un’opera pubblica, dall’altro però sussiste anche una sorta di pianificazione generale se non altro nel senso di rivolgersi a una pluralità indeterminata di soggetti. Al fine di correttamente individuare la tipologia di vincolo (che ivi si ritiene comunque espropriativo) occorrerà quindi ragionare sulla caratteristiche intrinseche del vincolo come affermato dalla Corte anche sulla scia di quanto affermato più volte dalla Corte di Cassazione (Cassazione civile , sez. I, 25/03/2022 , n. 9736)

In altre occasioni il Consiglio di Stato aveva offerto criteri ermeneutici che paiono però più chiari. Ad esempio, nella pronuncia Consiglio di Stato sez. II, 28/02/2022, n.1367, la Corte specificava la possibilità di individuare un vincolo espropriativo nella capacità del vincolo di “svuotare sostanzialmente di contenuto il diritto di proprietà su di un determinato bene”

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