Atto di cessione bonaria ed atto di compravendita: l’importanza della distinzione ai fini dell’istanza di retrocessione

Cassazione civile sez. I, 03/03/2025, n.5543: “La cessione volontaria è un contratto ad oggetto pubblico che, inserito nell’ambito di un procedimento espropriativo, lo conclude eliminando la necessità di un provvedimento amministrativo di acquisizione coatta della proprietà privata, ma non esclude che il bene immobile possa essere trasferito all’ente pubblico con un contratto di compravendita, del tutto assoggettato alla disciplina privatistica, sicché, per individuare lo strumento contrattuale utilizzato, anche ai fini dell’applicabilità di istituti connessi alla procedura pubblicistica dell’espropriazione, quali la determinazione dell’indennizzo secondo i canoni legali e la retrocessione del bene ove l’opera pubblica non sia stata realizzata, va considerato che, per la pendenza del procedimento espropriativo, non è sufficiente la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera realizzanda, occorrendo anche l’avvio del subprocedimento di determinazione indennitaria nonché la formulazione dell’offerta amministrativa dell’indennità, solo in presenza della quale, il proprietario può valutare la convenienza della cessione. (In applicazione del detto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale il proprietario di un’area destinata ad opera pubblica, dopo avere venduto il fondo all’ente locale ha invocato la retrocessione del bene sul presupposto che l’opera non era stata realizzata e l’area in questione era stata, a sua volta, alienata a terzi dal Comune stesso).”

 

Atto di cessione bonaria ed atto di compravendita sono due atti che pur perseguendo il medesimo scopo, ovvero il trasferimento della proprietà del bene, hanno caratteristiche piuttosto diverse.

La compravendita è un atto liberamente stipulato tra privati. Ove a un tale atto intervenga una pubblica amministrazione, quest’ultima opera secondo le ordinarie regole del diritto civile.

Diversamente l’atto di cessione bonaria o amichevole è un particolare atto di diritto pubblico che trova la sua fonte nel diritto delle espropriazioni e che ha la sua origine nell’ambito di un procedimento espropriativo. Tale atto si pone come una modalità di conclusione del procedimentoalternativa al decreto di esproprio.

Differentemente dalla compravendita, la volontà del privato non è pienamente libera in quanto ove non voglia addivenire ad una cessione bonaria del bene da espropriare perderà comunque la proprietà del bene a seguito dell’emissione del decreto di esproprio.

D’altra parte inserendosi all’interno del procedimento espropriativo, l’atto di cessione bonaria sottostà a tutte le norme che regolano la materia, ivi inclusa quella relativa alla possibilità dell’ex proprietario del bene di chiedere la retrocessione (restituzione) dello stesso qualora l’opera pubblica non venga realizzata.

Viceversa qualora il bene sia stato ceduto con un atto di compravendita seppure contratta “in odore” di esproprio, non attuandosi la normativa che disciplina il procedimento espropriativo, non sarà esperibile il ricorso alla retrocessione del bene.

Questo è il caso che si è trovata ad affrontare la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza esaminata.

Di particolare interesse nella pronuncia del Collegio risultano gli elementi volti ad identificare quando si possa parlare di cessione bonaria e non di compravendita. Perché si possa affermare la sussistenza del contratto di diritto pubblico, secondo la Corte, non è sufficiente che sia meramente stato avviato il procedimento espropriativo, né la mera dichiarazione di pubblica utilità occorrendo, viceversa, che sia stato avviato anche il subprocedimento di determinazione dell’indennità di esproprio con, in sostanza, l’offerta dell’indennità provvisoria di esproprio poi accettata. È infatti proprio tale accettazione che determina l’insorgere dei presupposti per la stipula di un atti di cessione bonaria.

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