Espropriazione per pubblica utilità: ricorso in opposizione alla stima e fallimento

Il tema della sentenza che si riporta è se si possa promuovere un giudizio di opposizione alla stima in pendenza di fallimento di una società beneficiaria di una procedura espropriativa e quindi obbligata al pagamento dell’indennità di esproprio.
In pratica il dubbio è se l’accertamento giudiziale dell’indennità di esproprio debba avvenire secondo le regole ordinarie della materia espropriativa previste dall’art. 54 T.U. Espropri e quindi con competenza funzionale della Corte di Appello o se piuttosto anche l’accertamento di tale credito debba essere regolato dalle norme dettate in tema di ammissione allo stato passivo e quindi dagli art. 92 ss. della Legge Fallimentare.

È possibile un giudizio di opposizione alla stima di esproprio in pendenza di fallimento?

Nel caso di specie gli espropriati avevano esperito un ordinario giudizio in opposizione alla stima in cui si era costituita la curatela fallimentare. Giunti alla sentenza di rideterminazione dell’indennità di espropriazione, avevano chiesto il riconoscimento del credito in prededuzione alla curatela fallimentare che aveva però rigettato la richiesta ritenendo che il credito si sarebbe dovuto accertare secondo le norme fallimentari. Contro la decisione della curatela era stato fatto ricorso in opposizione al Tribunale fallimentare, questione poi giunta al vaglio della Corte di Cassazione.
Nella sentenza ivi commentata la Suprema Corte ha affermato l’inesistenza di ragioni di deroga in materia fallimentare al principio generale dettato dalla legge fallimentare in sede di accertamento dei crediti da iscrivere alla massa passiva e ha quindi escluso l’opponibilità alla massa fallimentare di una sentenza emessa in un giudizio di opposizione alla stima successiva alla dichiarazione di fallimento. Può leggersi: “Il principio di esclusività del concorso formale comporta il trasferimento nella sede dell’accertamento del passivo di tutte le azioni di accertamento dei crediti concorsuali, al fine di salvaguardare l’esigenza di sottoporre le pretese creditorie a una verifica endoconcorsuale che consenta, quanto meno in modo potenziale, un contraddittorio con gli altri creditori, titolari di un interesse a che non vengano ammessi al concorso crediti inesistenti o inopponibili.

Nessuna espressa disposizione di legge prevede che l’indennità di esproprio sfugga a questa generale disciplina e conservi la propria sede naturale di determinazione, dovendosi di conseguenza ritenere che anch’essa rimanga soggetta al principio di esclusività del concorso formale.
Pertanto, in mancanza di un giudicato formatosi in epoca antecedente all’avvio della procedura concorsuale, l’accertamento del credito relativo all’indennità di esproprio dovuta dal beneficiario poi fallito rimaneva devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato L. Fall., ex artt. 52 e 93 (Cass. 6659/2001), il cui tenore di carattere generale è finalizzato a ricondurre nella sede concorsuale, ove tutti i creditori prendono parte all’accertamento del passivo, l’accertamento del diritto di ciascuno a partecipare alla distribuzione dell’attivo”

La sentenza

Cassazione civile sez. I – 16/04/2021, n. 10111
1. F.P.F., F.G.E. e F.A., quali eredi degli originari comproprietari di un immobile oggetto di esproprio, domandavano al giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) s.r.l., beneficiario dell’esproprio, di essere ammessi in prededuzione al passivo della procedura per la somma di Euro 403.077 (o in subordine per Euro 326.043,55) in ragione della determinazione dell’indennità compiuta dalla Corte d’appello di Ancona, all’esito del giudizio di opposizione alla stima, oltre a interessi legali e spese di lite.
Il Giudice delegato alla procedura non ammetteva il credito al passivo poichè lo stesso era fondato su un titolo giudiziale emesso successivamente alla data di dichiarazione del fallimento e dunque inopponibile alla massa dei creditori.
2. Avverso questa statuizione proponevano opposizione F.P.F., F.G.E. e F.A. rappresentando, a giustificazione della propria richiesta di insinuazione, che i loro danti causa erano comproprietari di un immobile ubicato in (OMISSIS) che era stato oggetto di esproprio in favore del Consorzio Comparto Edificatorio n. 1, al quale erano subentrati dapprima l’Immobiliare Terzo Millennio e in seguito (OMISSIS) s.r.l. in bonis.
A seguito della determinazione provvisoria dell’indennità di esproprio (in misura pari a Euro 659.650) gli espropriati avevano proposto opposizione avanti alla Corte d’appello di Ancona, avviando un giudizio, in cui si era costituita la curatela di (OMISSIS) s.r.l., che si era concluso con la determinazione – con sentenza del 24 settembre 2015 – del complessivo ammontare dell’indennità di esproprio in Euro 1.063.727, l’ordine di deposito presso la cassa depositi e prestiti della residua somma di Euro 403.077, oltre a Euro 101.205,47 per interessi di mora, e la condanna della curatela al pagamento delle spese processuali.
L’immobile oggetto di esproprio era sottoposto inoltre a regime speciale di natura pubblicistica che ne precludeva una libera facoltà di disposizione nel contesto della procedura concorsuale; tale vincolo secondo gli opponenti – avrebbe dovuto essere tenuto presente nella redazione del programma di liquidazione, apprestando in favore dei soggetti espropriati adeguate garanzie quanto al percepimento dell’indennizzo loro spettante ovvero riconoscendo al relativo credito collocazione in prededuzione.
3. Il Tribunale di Roma, preso atto che la sentenza della Corte d’appello era stata deliberata (il 24 settembre 2014) e pubblicata (il 26 marzo 2015) dopo la dichiarazione di fallimento di (OMISSIS) s.r.l. (risalente al 17 aprile 2014), riteneva che la decisione non fosse opponibile alla procedura e che l’accertamento del credito dovesse avvenire, ai sensi del combinato disposto della L. Fall., artt. 43,52 e 95, nel contesto endoprocedimentale.
Nè era possibile sostenere – a giudizio del collegio dell’opposizione che l’opponibilità della decisione derivasse dalla costituzione della curatela in quella sede processuale, sia perchè tale costituzione era avvenuta per conseguire la dichiarazione di improcedibilità delle pretese avversarie L. Fall., ex art. 43, sia perchè il principio di irrilevanza degli eventi interruttivi verificatisi dopo l’udienza di discussione riguardava soltanto la possibilità di interruzione del processo, non il distinto profilo dell’opponibilità al fallimento, giacchè l’inopponibilità derivava dalla perdita di legittimazione processuale del debitore fallito, che si verificava automaticamente ai sensi della L. Fall., art. 43.
Una volta esclusa l’ammissibilità al passivo del credito vantato dagli opponenti in forza della decisione assunta dalla Corte d’appello di Ancona, il Tribunale, preso atto della quantificazione dell’indennizzo compiuta dalla Commissione Provinciale Espropri, ammetteva al passivo la somma di Euro 326.043,55 per sorte capitale e di Euro 84.464,05 per interessi di mora, quale parte ulteriore rispetto a quella già depositata presso la cassa depositi e prestiti, e collocava in chirografo l’importo ammesso, in mancanza di alcuno dei presupposti previsti dalla L. Fall., art. 111.
Il Tribunale, infine, rigettava la richiesta di rivisitazione del contenuto del programma di liquidazione, trattandosi di provvedimento endoprocedimentale che non rientrava nel novero degli atti suscettibili di gravame ai sensi della L. Fall., art. 98.
4. Per la cassazione di tale decreto, depositato in data 10 ottobre 2017, hanno proposto ricorso F.P.F., F.G.E. e F.A. prospettando sei motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) s.r.l..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Ragioni della decisione
5.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 72, in relazione agli artt. 3,24 e 42 Cost., nonchè la mancanza, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione con riguardo alla vigenza e agli effetti del rapporto di convenzione urbanistica che impegnerebbe il fallimento nei confronti del Comune di Civitanova Marche: il Tribunale, nel negare la collocazione in prededuzione richiesta dagli opponenti, avrebbe trascurato di considerare l’imprescindibile connessione della vicenda espropriativa con la convenzione urbanistica conclusa fra (OMISSIS) s.r.l. e il Comune di Civitanova, dalla quale la curatela non aveva inteso sciogliersi nel senso previsto dalla L. Fall., art. 72 e la cui persistente vigenza comportava il permanere dell’obbligo di pagamento dell’indennità di esproprio con moneta non concorsuale. L’ammissione in prededuzione sarebbe stata quindi – in tesi di parte ricorrente – diretta conseguenza della prosecuzione del rapporto di convenzione da parte della procedura convenuta, riconosciuta “successore e proprietaria del bene ablato” agli opponenti.
5.2 Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., artt. 24,72 e 98, in relazione agli artt. 3,24 e 42 Cost., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto il Tribunale non avrebbe adeguatamente considerato il rapporto giuridico derivante dal procedimento di esproprio che, oltre a rendere peculiare la posizione dei soggetti espropriati, aveva prodotto effetti sulle sorti del bene espropriato.
Il collegio dell’opposizione – in tesi di parte ricorrente – avrebbe perciò dovuto ritenere che il programma di liquidazione, quale provvedimento endoprocedimentale, potesse essere impugnato insieme con il provvedimento che disponeva sullo stato passivo e, nel valutare il merito della doglianza, avrebbe dovuto riconoscere che la posizione degli espropriati non poteva essere equiparata a quella degli ordinari creditori, stabilendo che la sussistenza di una obbligazione propter rem relativa al pagamento dell’indennità di esproprio imponeva di adeguare il programma in discorso con la collocazione della medesima indennità “in posizione di prededuzione”.
6. I motivi, da esaminarsi congiuntamente perchè volti al riconoscimento di una collocazione in prededuzione del credito dei ricorrenti, risultano, entrambi, in parte inammissibili, in parte infondati.
6.1 Le doglianze sono inammissibili laddove, nel predicare un vizio di motivazione, si parametrano al tenore dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente prima che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, limitasse questo canone di ricorso per cassazione al solo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso fra le parti.
In seguito alla riformulazione della norma non sono infatti più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. 23940/2017).
Le carenze motivazionali denunciate dal ricorrente non sono riconducibili nell’alveo del vizio di motivazione così rimodellato, perchè il provvedimento impugnato fornisce al suo interno argomenti sufficienti a spiegare le ragioni per cui la prededuzione non poteva essere riconosciuta (laddove sostiene che non ricorrevano i presupposti di cui alla L. Fall., art. 111 e ritiene che gli assunti degli opponenti, in merito al persistere del rapporto convenzionale, non bastassero per ravvisare una delle ipotesi in cui è possibile riconoscere la natura prededucibile del credito).
6.2 Non sono fondate invece le critiche che prospettano una violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 72.
E’ ben vero che a seguito della decisione del curatore di subentrare nel contratto pendente in luogo del fallito il negozio prosegue con il curatore e questi assume i diritti e “tutti i relativi obblighi” in precedenza facenti capo al fallito, di modo che il curatore subentrante è tenuto ad adempiere le obbligazioni sorte a carico del fallito in via di prededuzione.
Nel caso di specie tuttavia il rapporto negoziale (di convenzione urbanistica fra la compagine poi fallita e il Comune di Civitanova) proseguito con il curatore ed invocato a giustificazione della pretesa collocazione in prededuzione, pur costituendo il titolo che giustificava l’esproprio, non coinvolgeva gli odierni ricorrenti, bensì l’autorità espropriante e il beneficiario dell’espropriazione.
L’opzione per la prosecuzione di tale rapporto con la curatela rimaneva così inidonea a determinare l’appostazione dell’indennizzo in prededuzione, non solo perchè il contratto non produce effetti rispetto a chi ad esso non partecipi direttamente, a mente dell’art. 1372 c.c., comma 2, ma soprattutto perchè l’indennità di esproprio non costituisce un’obbligazione derivante dal contratto di convenzione urbanistica fra autorità espropriante e beneficiario dell’espropriazione, ma un indennizzo dovuto in diretta conseguenza dell’atto ablatorio.
Non si presta a censure pertanto il decreto impugnato laddove, pur registrando la prosecuzione del rapporto convenzionale di natura pubblicistica, non ravvisa negli assunti degli opponenti una situazione che possa sussumersi in una delle ipotesi normative che prevedono il riconoscimento della prededuzione.
6.3 Il regime di impugnazione previsto dalla L. Fall., artt. 98 e 99, riguarda – come espressamente prevede della L. Fall., art. 98, comma 1 – il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le statuizioni ivi contenute ed è volto a delimitare il novero dei soggetti abilitati a partecipare al riparto dell’attivo o ad escludere dall’attivo i beni rivendicati o chiesti in restituzione da terzi.
Non è dunque impugnabile per la via dell’opposizione a stato passivo la formazione del programma di liquidazione, che, quale atto di amministrazione svolto dal curatore, può invece essere oggetto di doglianza nelle forme di cui alla L. Fall., art. 36.
Peraltro non è il programma di liquidazione che dispone in merito alla collocazione in prededuzione del credito di chi vanti diritti correlati a un bene acquisito all’attivo e di cui è stata disposta la vendita, ma il procedimento di accertamento del passivo, poichè l’esistenza del credito e la sua natura prededucibile deve essere accertata (a meno che non ne sia contestata collocazione e ammontare) in quella sede, nel senso previsto dalla L. Fall., art. 111-bis, comma 1.
Ogni questione su ammissione e collocazione di un credito asseritamente prededucibile rimane, dunque, veicolata nel procedimento di accertamento del passivo, non involge il programma di liquidazione, che riguarda invece le modalità e i termini previsti per la realizzazione dell’attivo, nè può essere riproposta con l’impugnazione presentata, nelle dovute forme L. Fall., ex art. 36, avverso tale atto del curatore.
7.1 Il secondo mezzo lamenta la violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., artt. 24,72,52 e 92, in relazione agli artt. 3,24 e 42 Cost., nonchè il carattere insufficiente e contraddittorio della motivazione su un punto decisivo della controversia: in tesi di parte ricorrente il disposto della L. Fall., art. 24, non può superare lo speciale procedimento previsto per la determinazione dell’indennità di esproprio, dovendosi invece ritenere che la competenza funzionale contemplata dalla L. n. 865 del 1971, art. 19, abbia carattere prevalente, in ragione della tutela del diritto di proprietà che questa competenza funzionale intende perseguire in coerenza con l’art. 42 Cost..
Per di più il collegio dell’opposizione non avrebbe considerato che lo stesso fallimento, nel costituirsi, aveva manifestato l’intenzione di proseguire nel giudizio ai sensi degli artt. 302 c.p.c. e segg., rendendo palese come non intendesse interrompere il procedimento ma fosse invece interessato alla definizione del giudizio.
In costanza dei rapporti giuridici preesistenti il fallimento concludono i ricorrenti – non avrebbe potuto annoverare i signori F. fra i creditori della compagine fallita, ma doveva corrispondere il versamento disposto dalla Corte d’appello alla Cassa Depositi e Prestiti.
7.2 Con il terzo motivo il decreto impugnato è censurato per violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 300, u.c. e L. Fall., art. 43: parte ricorrente, a fronte dell’affermazione del Tribunale secondo cui la sentenza della Corte d’appello non era opponibile alla procedura, assume che la costituzione della curatela, avvenuta prima della decisione, avrebbe reso irrilevanti gli eventi interruttivi successivi alla chiusura della discussione davanti al collegio, mentre la sentenza sarebbe stata emessa nei confronti del debitore piuttosto che della procedura per mero errore materiale.
In ogni caso la questione dell’opponibilità risulterebbe superata dal fatto che la curatela aveva proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della corte anconetana senza presentare alcuna impugnazione in merito alla constatazione della sua precedente costituzione.
8. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità, risultano entrambi in parte inammissibili, in parte infondati.
8.1 Quanto al vizio di motivazione dedotto con il secondo motivo si rimanda agli argomenti in precedenza illustrati in merito all’impossibilità di continuare a fare riferimento a un paradigma normativo non più in vigore.
8.2 Rispetto alla denunciata violazione di legge occorre invece rilevare come la L. Fall., art. 52, comma 2, imponga – “salvo diverse disposizioni di legge” – che ogni credito venga accertato secondo le modalità previste dalla L. Fall., artt. 92 e segg..
Il principio di esclusività del concorso formale comporta il trasferimento nella sede dell’accertamento del passivo di tutte le azioni di accertamento dei crediti concorsuali, al fine di salvaguardare l’esigenza di sottoporre le pretese creditorie a una verifica endoconcorsuale che consenta, quanto meno in modo potenziale, un contraddittorio con gli altri creditori, titolari di un interesse a che non vengano ammessi al concorso crediti inesistenti o inopponibili.
Nessuna espressa disposizione di legge prevede che l’indennità di esproprio sfugga a questa generale disciplina e conservi la propria sede naturale di determinazione, dovendosi di conseguenza ritenere che anch’essa rimanga soggetta al principio di esclusività del concorso formale.
Pertanto, in mancanza di un giudicato formatosi in epoca antecedente all’avvio della procedura concorsuale, l’accertamento del credito relativo all’indennità di esproprio dovuta dal beneficiario poi fallito rimaneva devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato L. Fall., ex artt. 52 e 93 (Cass. 6659/2001), il cui tenore di carattere generale è finalizzato a ricondurre nella sede concorsuale, ove tutti i creditori prendono parte all’accertamento del passivo, l’accertamento del diritto di ciascuno a partecipare alla distribuzione dell’attivo.
La domanda formulata da chi si affermava creditore in sede di cognizione ordinaria proposta prima dell’inizio della dichiarazione di insolvenza doveva invece considerarsi improcedibile in conseguenza dell’apertura del concorso (Cass. 9461/2020, Cass. 24156/2018).
8.3 Entrambe le doglianze intendono poi far valere nei confronti del fallimento la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello.
Lo stesso ricorrente, tuttavia, riconosce che la pronunzia “è stata emessa nei confronti del debitore”, pur aggiungendo che ciò sarebbe avvenuto “solo per errore materiale” (pag. 15).
Ne consegue che, anche nell’ipotesi in cui si volesse aderire alla tesi dei ricorrenti secondo cui la procedura fallimentare era divenuta parte del giudizio, la decisione sarebbe comunque inopponibile alla massa, essendo stata pronunciata nei confronti della società fallita e non del fallimento.
Nè vale a raggiungere una diversa conclusione la tesi dell’errore materiale, pure affacciata dai ricorrenti, poichè l’errore, ove davvero esistente, avrebbe dovuto essere corretto dal giudice che aveva emesso la sentenza, ex artt. 287 c.p.c. e segg. e non può essere emendato da questa Corte o in qualche modo apprezzato, stante la genericità delle allegazioni fatte dal ricorrente in proposito.
9. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 111, nonchè l’esistenza di una motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, in quanto il Tribunale non avrebbe considerato che l’intervenuta costituzione del fallimento nel giudizio avanti alla Corte d’appello d’Ancona prima della delibazione e pubblicazione della sentenza comportava pur sempre ex se la prededucibilità delle spese legali e delle competenze liquidate in favore delle controparti.
10. I ricorrenti ritengono che il Tribunale abbia implicitamente rigettato la loro richiesta di pagamento in prededuzione delle spese e delle competenze di lite liquidate nella sentenza della Corte d’appello, “evidentemente nella considerazione che il titolo non sia opponibile”. La questione non risulta in alcun modo trattata all’interno del decreto impugnato in questa sede.
Ora, per poter prospettare una reiezione implicita occorre innanzitutto che una domanda sia stata presentata.
Era dunque onere dei ricorrenti riportare puntualmente, negli esatti termini, la domanda ritenuta implicitamente delibata all’interno del ricorso per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo nel quale la stessa era stata proposta, onde consentire a questa Corte di verificare l’effettiva esistenza della stessa nonchè la sua ritualità e tempestività. E quand’anche una simile richiesta fosse stata presentata occorreva anche, dato che la censura attiene ad una questione – comportante accertamenti in fatto (in merito all’estensione della condanna alle spese anche al fallimento) – che non è stata affrontata nel decreto impugnato, che i ricorrenti chiarissero preliminarmente se e come tale questione fosse stata effettivamente e tempestivamente devoluta alla cognizione del giudice del gravame (cfr., fra molte, Cass. 23675/2013).
In mancanza di queste indicazioni la doglianza risulta perciò inammissibile.
11. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, poichè il Tribunale, senza tener conto dell’esito finale della lite, aveva disposto la compensazione delle spese, “inventando ad argomento….. la disposta ammissione al passivo del fallimento in misura ridotta rispetto a quanto richiesto ed il fatto che i profili che abbiano portato all’accoglimento siano stati valorizzati solo nel corso del procedimento”.
12. Il motivo è inammissibile.
Il sindacato della Corte di Cassazione in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
E che nel caso di specie gli opponenti non fossero totalmente vittoriosi ne dà ampio conto il provvedimento impugnato, non solo rispetto all’entità della somma ammessa al passivo, ma anche in merito alla collocazione in chirografo piuttosto che con la prededuzione richiesta.
La valutazione dell’opportunità di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso degli altri motivi previsti dall’art. 92 c.p.c., comma 2, rientra invece nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. 24502/2017, Cass. 8241/2017). Ne consegue che la pronuncia di compensazione delle spese non può essere censurata in questa sede di legittimità.
13. Per tutto quanto sopra esposto il ricorso va pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dallaL. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

CORRADO BRANCATI
© Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2021
10/11/2021

Condividi su:

Chiama ora il numero
VERDE nazionale centralizzato

Fissa un appuntamento telefonico per un colloquio gratuito o per prenotare un sopraluogo tecnico

Newsletter

Tutelaespropri.it

Registrati alla nostra newsletter per ricevere aggiornamenti sulle nostre attività, notizie e consigli utili.

Collabora

con Noi

Sei un avvocato o un Tecnico, stai gestendo una procedura espropriativa e ti serve supporto? Possiamo collaborare nella gestione di un co-mandato.

Chiama il Numero Verde