Il provvedimento di acquisizione sanante: la comunicazione di avvio del procedimento
Il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, con le sentenze gemelle 2 e 4 del 20 gennaio 2020, torna sul tema dell’occupazione illegittima e sancisce l’impossibilità di una rinuncia traslativa alla proprietà del bene occupato dalla Pubblica Amministrazione.
La questione concerneva il dubbio in ordine alla possibilità da parte del proprietario che abbia subito una illegittima occupazione, di agire in giudizio non per chiedere la restituzione del bene, ma per chiedere il risarcimento del danno, rinunciando, esplicitamente o implicitamente, alla proprietà del bene stante l’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi.
Il tema era stato più volte affrontato in giurisprudenza, con esiti contrastanti, seppure le ultime pronunce emesse sia dal Consiglio di Stato che dalla Corte di Appello, parevano voler andare verso un accoglimento di tale possibilità.
Ora il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria e con due sentenze gemelle, esclude categoricamente tale possibilità, evidenziando come l’illecito permanente commesso dalla pubblica amministrazione possa risolversi solo con:
- un atto di accordo tra le parti stipulato davanti al Notaio con traslazione volontaria della proprietà
- la restituzione del bene ad opera della Pubblica Amministrazione, con rimissione in pristino dello stato dei luoghi e il pagamento dell’occupazione illegittima
- l’emissione di un provvedimento di acquisizione sanante ad opera della Pubblica Amministrazione
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10 di A.P. del 2019, proposto da Pa. Fa., rappresentato e difeso dagli avvocati Gianluigi Bidetti e Fabio Valenti, con domicilio eletto presso lo studio Laura Polimeno in Roma, via Giulio Venticinque, 6; contro Ministero delle Infrastrutture (Già Min. Lavori Pubblici), Anas S.p.A. (Già Ente Nazionale per le Strade – Anas), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti Cocemer S.p.A. Cg A.T.I., Ati – Le. S.r.l., Ati – Pal Strade S.r.l., Ati – Ssp Costruzioni S.r.l. non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce (Sezione Prima), n. 3373/2007, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Gianluigi Bidetti, e dello Stato Davide Di Giorgio. FATTO L’odierno appellante ha proposto ricorso al T.A.R. deducendo che il decreto ministeriale di data 8 aprile 1992, che ha approvato il progetto dei lavori di costruzione della Tangenziale ovest della città di Lecce ed ha fissato i termini per la realizzazione dei lavori e l’emanazione dei decreti di esproprio, era stato annullato dalla Sezione Quarta del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2719-2000 e che era stata nel frattempo realizzata l’opera pubblica sul suo terreno, irreversibilmente trasformato in assenza di un decreto d’esproprio. L’appellante aveva, quindi, chiesto il risarcimento del danno in conseguenza della illecita e illegittima apprensione del bene, essendo certamente impossibile la restituzione. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione di Lecce, sez. I, con sentenza 25 settembre 2007, n. 3373 ha ravvisato un’ipotesi di occupazione acquisitiva, che integra “un fatto illecito ascrivibile a responsabilità della P.A. che si perfeziona a partire dal momento in cui il possesso del suolo di proprietà del ricorrente deve essere considerato sine titulo” e ha accolto l’eccezione di prescrizione del diritto del ricorrente al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, rilevando che l’occupazione d’urgenza sarebbe divenuta illegittima il 21 ottobre 1997, sicché il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2947 c.c. (applicabile ai sensi dell’art. 2043 c.c.) sarebbe decorso alla data di notifica del ricorso di primo grado, avvenuta il 5 agosto 2004. Parte ricorrente, attuale appellante, ha proposto il presente appello, contestando l’accertata prescrizione e deducendo che egli avrebbe perduto il diritto di proprietà, con la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà del suolo in questione in capo alla P.A., avvenuta con la sua apprensione del bene. Le controparti appellate hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte, concludendo per il rigetto dell’appello. Il Collegio della Sezione semplice di questo Consiglio, cui era assegnata la causa, ha emesso sentenza parziale e contestuale ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria (sentenza parziale/ordinanza 30 luglio 2019, n. 5391). Nel merito, ha ritenuto che il TAR avesse erroneamente accolto l’eccezione di prescrizione. A questo punto, ha verificato quali ulteriori statuizioni andassero emanate per definire la controversia e ha ritenuto che, nel caso di specie, in applicazione dell’art. 42-bis Testo Unico Espropriazione, avrebbe dovuto ordinare all’Autorità che utilizza la tangenziale di emanare un provvedimento che disponesse o l’acquisizione del bene al suo patrimonio indisponibile o, in ipotesi, la sua restituzione. Previamente, tuttavia, ha rilevato due questioni giuridiche di massima, strettamente connesse e pregiudiziali alla decisione dell’appello, ovvero:- a) se la domanda risarcitoria degli appellanti vada qualificata come dichiarazione di ‘rinuncia abdicativa’ del bene in questione;
- b) se, in caso affermativo, una tale rinuncia abbia giuridica rilevanza.
- La questione di diritto sottoposta a questa Adunanza riguarda la configurabilità, nel nostro ordinamento giuridico, della rinuncia abdicativa quale atto implicito ed implicato nella proposizione, da parte di un privato illegittimamente espropriato, della domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario derivante dall’illecito permanente costituito dall’occupazione di un suolo da parte della P.A., a fronte della irreversibile trasformazione del fondo.
- La tesi della rinuncia abdicativa deriva dai principi affermati in tema dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 9 febbraio 2016, n. 2, intervenuta peraltro per la diversa finalità di chiarire quali siano i poteri del commissario ad acta nominato per l’esecuzione dei provvedimenti occorrenti ad ottemperare ad un giudicato amministrativo relativo ad una vicenda di acquisizione cd. sanante ex art. 42-bis. TUEs.
- L’orientamento favorevole evidenzia che tale linea ricostruttiva presenta, sul piano pratico, aspetti favorevoli per il privato espropriato.
- Per quanto riguarda la prima obiezione (mancata spiegazione esauriente della vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante), si deve rilevare, infatti, che se l’atto abdicativo è astrattamente idoneo a determinare la perdita della proprietà privata, non è altrettanto idoneo a determinare l’acquisto della proprietà in capo all’Autorità espropriante.
- Per quanto riguarda la seconda obiezione (rinuncia abdicativa quale atto implicito, ma carenza in tale rinuncia delle caratteristiche essenziali degli atti impliciti), si deve ricordare che la rinuncia abdicativa, se riferita al ricorso giurisdizionale, non viene effettuata dalla parte, né personalmente, né attraverso un soggetto dotato di idonea procura.
- Ma, al di là delle criticità che appalesa l’adesione alla teoria della rinuncia abdicativa nella materia in questione, è decisiva, per la soluzione del quesito posto, la terza ed ultima obiezione (assenza di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove è centrale il principio di legalità), di cui deve rimarcarsi il carattere assorbente per escludere l’operatività della rinuncia abdicativa quale strumento legalmente idoneo a definire l’assetto degli interessi coinvolti in una vicenda di espropriazione cd.indiretta.
- È nel delineato contesto normativo che il legislatore nazionale è intervenuto per regolare la fattispecie in esame, fornendo per ciò stesso una base legale, sistematica e coerente, alla disciplina ivi prevista, dapprima con l’art. 43 TUEs. (approvato con il d.P.R. n. 327-2001 ed entrato in vigore il 30 giugno 2003) e poi, dopo la dichiarazione della sua incostituzionalità per eccesso di delega, con l’art. 42-bis (introdotto nel testo unico dall’art. 34, comma 1, L. n. 111 del 2011).
- Ad avviso dell’Adunanza, dunque, per le fattispecie disciplinate dall’art. 42-bis una rigorosa applicazione del principio di legalità, in materia affermato dall’art. 42 della Costituzione e rimarcato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, richiede una base legale certa perché si determini l’effetto dell’acquisto della proprietà in capo all’espropriante. E se la norma non prevede alcun riferimento a un’ipotesi di rinuncia abdicativa – che, peraltro, così delineata, avrebbe tutti i caratteri strutturali e gli effetti di una rinuncia traslativa- è stato per converso introdotto nell’ordinamento una disciplina specifica e articolata che attribuisce all’amministrazione una funzione autoritativa in forza della quale essa può scegliere tra restituzione del bene o acquisizione della proprietà nel rispetto dei requisiti sostanziali e secondo le modalità ivi previsti. Nessuna norma attribuisce per contro al soggetto espropriato, pur a fronte dell’illegittimità del titolo espropriativo, un diritto, sostanzialmente potestativo, di determinare l’attribuzione della proprietà all’amministrazione espropriante previa corresponsione del risarcimento del danno.
- Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, deve dichiararsi il seguente principio di diritto:
CORRADO BRANCATI | © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2020 | 18/02/2020 |
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