La determinazione del valore di indennizzo nel provvedimento di acquisizione sanante – la svalutazione della porzione residua ed il valore dei manufatti e dei soprassuoli
La determinazione del valore di indennizzo nel provvedimento di acquisizione sanante – la svalutazione della porzione residua ed il valore dei manufatti e dei soprassuoli
Nell’ambito delle procedure per pubblica utilità appare ben chiaro il principio in base al quale ove l’espropriazione parziale di bene unitario determini una perdita di valore della porzione residua, l’indennità di espropriazione dovrà tenere conto anche di tale perdita di valore. La norma dettata dal Testo Unico a tal riguardo è l’art. 33 dpr 327/2001.
D’altra parte l’art. 44 del Testo Unico sugli espropri, si occupa di garantire un ristoro anche a quei beni che subiscano una perdita di valore a seguito dell’esecuzione dell’opera pubblica pur non avendo subito direttamente una procedura espropriativa.
L’art. 40, da parte sua, prevede che nella determinazione dell’indennità di espropriazione da destinarsi ai fondi agricoli, debba prendersi in considerazione anche l’esistenza di una azienda agricola e pertanto debba considerarsi anche il pregiudizio che l’azienda agricola subisca a seguito dell’espropriazione stessa.
Gli art. 32.2 e 40.1 del Testo unico, evidenziano poi con chiarezza come a comporre l’indennità di espropriazione debbano concorrere anche i soprassuoli ed i manufatti realizzati sul bene, mentre l’art. 38 regola il caso dell’espropriazione di una costruzione legittimamente edificata.
Pertanto quando si debba procedere alla determinazione dell’indennità di espropriazione, oltre a considerare il valore del terreno si dovrà anche considerare la eventuale presenza di soprassuoli o manufatti che determinino un incremento di valore del bene, e altresì in caso di esproprio parziale di bene unitario andrà valutato l’eventuale pregiudizio subito dalla porzione residua del bene e dall’azienda agricola eventualmente operante.
L’art. 42 bis dpr 327/2001 in tema di determinazione dell’indennità dovuta per il caso di un provvedimenti di acquisizione sanante, nulla sembra prevedere di tutto ciò, limitandosi a prevedere un indennizzo pari al valore del bene da effettuarsi al momento dell’emanazione del provvedimento acquisitivo.
Ciò ha portato la Corte di Cassazione con ordinanza di remissione n. 89/2014 a chiedere l’intervento della Corte Costituzionale, sottolineando una disparità di trattamento tra chi subisca una ordinaria procedura espropriativa e chi subisca al contrario un provvedimento di acquisizione sanante.
In base infatti a quanto disposto dall’art. 42 bis dpr 327/2001, infatti, parrebbero non indennizzabile né la perdita di valore subita da una porzione residua di proprietà, sia quei manufatti e soprassuoli già presenti sul bene al momento dell’occupazione.
La Corte Costituzionale con sentenza 71 del 30 aprile 2015, tuttavia, ha confermato la legittimità costituzionale della norma precisando:
“Infine, i giudici rimettenti – basandosi sul solo dato letterale e trascurando una visione di sistema – non hanno sperimentato la praticabilità di un’interpretazione che, facendo riferimento genericamente al «valore venale del bene», consenta di ritenere riconducibili ad esso anche le somme corrispondenti al valore delle colture effettivamente praticate sul fondo e al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, previsti dall’art. 40 del T.U. sulle espropriazioni.
La stessa obiezione può essere mossa alla censura secondo cui la norma impugnata non contemplerebbe l’ipotesi di espropriazione parziale e non consentirebbe, per questo motivo, di tener conto della diminuzione di valore del fondo residuo, invece indennizzata fin dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359, recante «Espropriazioni per causa di utilità pubblica» (art. 40, ora trasfuso nell’art. 33 del T.U. sulle espropriazioni).”
La Corte di legittimità supera l’obbiezione della Corte remittente, indicando la necessità di effettuare una interpretazione sistematica della norma e in qualche modo anche analogica rispetto a quanto previsto in tema di espropriazione per pubblica utilità.
Nella nozione di “valore di mercato del bene” a parere della Corte ben potrebbe includersi le somme corrispondenti al valore dei manufatti, dei soprassuoli e delle colture praticate sul fondo anche in relazione all’eventuale esercizio dell’azienda agricola.
Prendendo atto di tale decisione ermeneutica da parte della Corte, va tuttavia evidenziato come ciò comporta la necessità di effettuare uno spostamento temporale. Al momento dell’emissione del provvedimento di acquisizione sanante, infatti, sul bene non saranno più presenti assai probabilmente né manufatti né soprassuoli, considerando infatti da un lato il lasso di tempo che intercorrerà tra occupazione illegittima e provvedimento acquisitivo e dall’altro la trasformazione subita dal fondo.
Per determinare quindi il valore dei manufatti e soprassuoli non si potrà pertanto che risalire al momento dell’occupazione del fondo e quindi riaggiornare tali somme di interessi e rivalutazione. Così, ovviamente, dovrà essere fatto anche nel caso di pregressi edifici e costruzioni esistenti sul fondo.
Ciò costituisce tuttavia una deroga al principio sancito dallo stesso art. 42 bis come fatto oggetto di interpretazione costituzionalmente orientata, laddove la norma prevede invece la necessità che l’indennizzo per l’acquisizione del bene debba essere determinato alla data di emissione del provvedimento acquisitivo.
E pertanto, al momento del provvedimento acquisitivo andrà stimato il valore venale del bene occupato, comprese tutte le costruzioni sopra esso realizzate; a tal valore andrà poi aggiunto il valore di eventuali manufatti e soprassuoli già esistenti al momento dell’occupazione del bene stimati essi al momento dell’occupazione, somma da farsi oggetto di rivalutazione ed interessi.
A tale calcolo andrà poi aggiunto il valore del danno subito dall’eventuale terreno residuo a causa della intervenuta occupazione. Ciò evidentemente difficilmente può essere fatto a mezzo di una attività interpretativa del concetto del “valore venale”, quanto piuttosto si dovrà fare in via analogica rispetto a quanto previsto in materia espropriativa; interpretazione analogica consentita ai fini di una lettura costituzionalmente orientata della norma in oggetto.
Resta il problema della data a cui far riferimento per la stima della perdita di valore della porzione residua. Anche qui le opzioni interpretative sono sostanzialmente due: o si fa riferimento al momento dell’occupazione e si rivaluta la somma, o si fa riferimento al momento dell’acquisizione sanante del bene.
Pare preferibile aderire a tale seconda opzione ermeneutica. Parrebbe infatti più corretto sostenere che è la privazione della proprietà a causare il danno alla porzione residua del bene e pertanto la valutazione del pregiudizio subito dalla porzione residua del bene andrebbe fatta al momento dell’emissione del provvedimento di acquisizione. Tuttavia occorre evidenziare come il fondo residuo abbia subito danni medio tempore a causa dell’intervenuta occupazione illegittima del bene. Così interpretando la norma, dovrebbe allora riconoscersi anche il risarcimento del danno medio tempore subito dal fondo residuo. E d’altra parte tale strada appare ben praticabile. Si rammenta infatti come il comma 3 dell’art. 42 bis nel prevedere la parametrazione del danno per intervenuta occupazione nella somma pari al 5% annuo, prevede espressamente la facoltà della parte di provare il maggior danno subito.
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